domenica 31 ottobre 2010

Cattive abitudini

Mi sono svegliato con la stessa voglia di ascoltare i Massimo Volume con la quale ero andato a dormire. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto nei negozi dove sono solito acquistare i miei libri sono stato costretto a ordinare il disco direttamente dall'etichetta discografica, e questo si è tradotto nell'ineluttabile conseguenza che ancora non posso ascoltare il cd e sono costretto a fare ricorso a youtube per godermi "Cattive Abitudini". Di solito ascolto tutto l'album prima di esprimere il giudizio fatale se entrerà o meno nella storia degli album che hanno fatto la differenza. Per i Massimo Volume, ovviamente, saltano tutte le regole: mi innamoro del primo pezzo dell'album e arrivo subito alla conclusione che Emidio è tornato a stupirmi e ad emozionarmi. "Robert Lowell" è un pezzo che restituisce tutte le atmosfere de il primo dio, che ti sussurra frammenti sottili e preziosissimi di immagini appena sussurrate, che sento la presunzione di dover completare e urlare: consideriamo questo piuttosto che il resto, il peso di cose fatte male e fatte in fretta, cumuli di immagini sfocate su cui si punta il dito senza convinzione, solo per poter dire "questo sono io", nell'illusione che ciò che siamo riusciti a dire fosse ciò che avevamo da dire.

Ho il sonno turbato dai termosifoni da spostare, dall'idea che sto dormendo in salotto, dai punti luce immaginari. I tuoni che mi svegliano si sposano con "Robert Lowell". Mi alzo che sono appena le 8, troppo presto per essere domenica, ma è cambiata l'ora legale, Rossella non c'è e sono andato a dormire non troppo tardi. Lo start-up del computer è drammaticamente lento e penso di ingannare l'attesa provando a preparare il caffè con l'ennesima moka che abbiamo comprato. Il risultato è pessimo e comunque non inferiore alle aspettative. Dedico 5 minuti a Youtube e poi mi vedo 5 volte il notiziario della BBC. Rob, il mio insegnante di inglese, mi ha imposto di guardare almeno 4 notiziari e di riportare le informazioni più importanti su uno schemino che ricorda il gioco "nomi-città-animali-etcetc": where-subject-reasonwhy. Ho finito i compiti e inizio a vestirmi. Decido di celebrare questa domenica vestendomi da ufficio ma con colori scuri. Nel piccolo paese della piccola provincia della piccola città in cui sono nato la gente sfoggia gli abiti migliori proprio di domenica mattina. Oggi rispetto questa tradizione: indosso la giacca e i miei pantaloni preferiti, ho la pashmina scura, la barba leggermente lunga e una specie di cresta sui capelli che mi rifiuto di pettinare. Il risultato ha qualcosa di vagamente omosessuale ma mi piace ed esco di casa allegro e soddisfatto. Da qualche parte ho letto che i centri commerciali, nelle grandi città, hanno sostituito le piazze e sono diventati i luoghi di socializzazione per antonomasia. I sociologi rabbrividiscono ma gli architetti sono molto più bravi di loro a creare ambienti confortevoli e adatti a tutte le esigenze. E' mattina presto quindi non trovo la solita confusione domenicale, ho una serie di missioni speciali da compiere e le eseguo con matematica precisione: comprare un caffè di qualità (fatto), comprare un regalo a mia sorella (fatto), comprare un regalo al mio nuovo amichetto Mattia (fatto). Il regalo a mia sorella è la parte più complessa e l'ostacolo più impegnativo. Nelle ultime settimane ho regalato 2 pigiami a Rossella e mi appresto a comprare l'ennesimo indumento, nell'identico negozio, per mia sorella. Entro con aria vaga e approssimativa ma, come se fosse scritto sul vangelo, mi si avvicina la stessa commessa a cui ho chiesto aiuto per i precedenti pigiami. E' mascolina, piena di piercing e ho la netta impressione che mi tratti - giustamente - come uno che compra 3 pigiami da donna in un mese. Supero l'imbarazzo con stoica fierezza, pago e mi faccio fare pure un pacchetto regalo. Sono talmente tanto lanciato che quando Rossella mi chiama e mi dice di comprarle i "leggings-da-calzedonia" affronto un negozio pieno di donne con spavaldo senso del dovere. Ho tutto sotto controllo. E' ora di ritornare a casa. Se mi passa la nausea mi faccio un pranzo favoloso e un caffè da antologia.

Dimentichiamo tutto questo,
l'insormontabile scarto
che fissa il prezzo
della nostra libertà
il terrore dell'assenza

di oggetti che ci sopravviveranno
la muta presenza.
Dimentichiamo tutto questo
e continuiamo ad andare
gli occhi chiusi
e le braccia aperte
in equilibrio

nel nostro monotono sublime.


venerdì 8 ottobre 2010

Stazione Eleganza

In altri momenti della mia vita ho avuto la presunzione fatale di definirmi un infinito creativo. Pensavo di essere capace di produrre qualcosa che fosse un'idea realmente innovativa, un libro sulla storia di un personaggio che abita nel mio cervello, una raccolta di pezzi composti con sontuosa lentezza durante questi ultimi 10 anni, un olio su tela o un più banale racconto degno di nota. Niente. Di tutti i progetti potenziali che mi illudevo di possedere latenti nelle mie mani non è rimasto che il titolo che avrei dato alle cose: "Stazione eleganza". L'inizio e la fine di un viaggio nella memoria delle cose che il tempo non ha il coraggio di trasformare, perchè ci sarà sempre qualcuno in grado di raccontarle (di visualizzarle, di leggerle), perchè rimarranno immutate nella loro persistente e seducente eleganza.

La vita nelle realtà sociali complesse impone dei doveri di relazione che prescindono, per loro stessa natura, da un'intima presa di coscienza individuale. Ritornare a congetturare su se stessi in quanto individui che sono "altri" per gli altri complica ancora di più le cose e pone un'interessante questione sulle sembianze fisiche e psicologiche che offriamo a coloro i quali interagiscono quotidianamente o, ancora peggio, occasionalmente, con noi. Quello che rende quest'esercizio inconsueto è il fatto che ognuno di noi è solito percepire se stesso come una realtà mentale e si abbandona a considerare tutti gli altri come delle realtà fisiche, alcune volte elementari, altre volte complesse, ma quasi sempre solo fisiche. Qualche giorno fa mi sono posto l'inutile problema di capire che modello di persona potevo apparire agli occhi di tutti quelli che interagiscono con me: che colore ha la mia voce, come vengono percepiti i miei gesti, che impatto ha il rumore del tono delle mie parole, come la mia vita apparente possa (o non possa) imprimersi nella memoria visiva dell'interpretazione degli altri.
Non riesco a uscire da me stesso e, pertanto, non ho la facoltà e la capacità di vedermi dall'esterno. Occorrerebbe un'altra coscienza, un'altra anima, un punto di vista talmente esterno da non essere più mio. D'altra parte faccio perfino fatica a vedermi ritratto in alcune foto del passato, butto i vestiti vecchi perchè sento che non possono essermi appartenuti, ho pudore nell'ascoltare la mia voce registrata, quell'eco lontano di inflessione dialettale meridionale. Non riesco a vedere oltre la nebbia plumbea che avvolge completamente la coscienza che ho di me.

Il silenzio, a volte, è perfetto meta-pensiero allo stato puro. Andrea, un collega più attento e piacevolmente più invadente degli altri, mi chiede se dietro il mio sovrappensiero (la cui manifestazione esteriore è certamente il silenzio) si nascondano non meglio precisati problemi (che nel linguaggio di tutti i giorni definiremo "rodimenti di culo"). Apprezzo lo sforzo e la disponibilità all'indulgenza, ma non ho sufficiente pazienza, né probabilmente voglia, di spiegargli che un amore immenso muove vorticosamente tutti gli universi in costante espansione nel mio cervello. I neuroni, nella loro incessante e vorticosa sintesi della serotonina (C10H12N2O), trasportano ogni mia più intima essenza verso paradigmi emozionali un tempo inimmaginabili. Il senso della vita, in certi meravigliosi giorni, è nel sorriso che le labbra non hanno la presunzione di contenere. Il resto è disordine. E non ci appartiene.

martedì 31 agosto 2010

Aderenze (parte II)

Vivere senza l'assurda pretesa di dover pensare. Oggi pomeriggio, all'improvviso, mi sono fermato a riflettere sulla persona che ero. E' stato un momento di grande stanchezza, dopo un lavoro senza particolare rilevanza (anche un lavoro di marketing, malgrado l'apparente creatività che l'espressione suscita nelle persone poco predisposte al business, ha delle lunghe parentesi di noia). Ho appoggiato la testa sulle mani, con i gomiti ben posati sul tavolo, nel tentativo riuscito di frenare il peso della spossatezza. Ad occhi chiusi, in un buio ipotetico, ho ritrovato una parte di quello che ero. Inevitabilmente ho sentito subito la percezione dell'inutilità di tante esperienze che credevo importanti. Vedere, sentire, ricordare o dimenticare: tutto questo si è confuso in un vago dolore ai gomiti e alle mani, in mezzo al solito mormorio tranquillo dell'ufficio in cui lavoro. E' molto difficile riuscire a capire se certi spasmi interiori, proprio per la genesi ambigua e superficiale che hanno, abitino nell'anima o nel corpo, se nascono da un'analisi sistemica della vita o da una più umana e banale indisposizione organica. Che sia stato il pranzo e le poche ore di sonno o le riflessioni di quel momento poco importa: fatto sta che, per un pò, il mio pomeriggio si è riempito di un vago senso di nausea esistenziale.
Ho drammaticamente preso consapevolezza del come sono esistito: l'approccio ad alcune emozioni ha assunto i contorni di un inganno dozzinale (come alcuni palazzi in alcune periferie che non abbiamo il pudore di ricordare) e palesemente malato. Ancora adesso, mentre scrivo, mi stupisco di quello che ho provato prendendo consapevolezza di quello che sono. Mi stupisco di tutto quello che i miei occhi non sono riusciti a vedere. Le idee più radicate, i miei gesti più convinti, le mie preposizioni morali altro non sono state che un inganno metodologico, un'ebbrezza istintiva, una colossale ignoranza.
A trent'anni ormai ampiamente consolidati ho imparato, sulla mia pelle mai stata così liscia, che possono esistere rivoluzioni molto più significative di quelle generate dall'ambizione senza eleganza di una vita che, nel tentativo di correre più veloce, perde i suoi frammenti più pregiati. Il senso più intimo della mia intera esistenza abita nelle aderenze dei nostri incantevoli risvegli, nelle dolcissime carezze, nelle complicità, nelle lacrime e nell'affascinante disperazione dei distacchi che ancora non ho imparato completamente ad accettare ma che ho l'onore di celebrare ogni volta che i miei occhi impazienti si posano sulle tue labbra adorabili. La mia rivoluzione autentica è in ognuno dei tuoi sorrisi migliori. L'inizio di un universo in costante espansione. In cui vivo e mi perdo. Meravigliosamente.

sabato 24 luglio 2010

La verità degli occhi

La voce profonda e l'intimità del basso di Emidio Clementi rendono meno vagamente approssimativo questo risveglio di fine luglio. Il suono del cellulare/sveglia non ha fatto in tempo a violare i miei sogni, l'ho preceduto, come spesso capita, e mi sono alzato con la stessa sensazione di dozzinale rumore di fondo con cui ero andato a dormire. Ho lo stomaco chiuso ma riesco ugualmente a ingurgitare 2 biscotti al cioccolato ormai sciolti dal caldo e uno yogurt. E abbiamo camminato incontro a tramonti muti che si ha pudore di guardare e abbiamo dimenticato i nostri corpi inadeguati, sperduti, abbiamo riso. Le nuvole sono immobili e senza contorno... Il sole sembra aver perduto lo splendore degli ultimi giorni, la lenta ripresa dei sensi mi fa percepire un odore affascinante e malinconicamente evocativo: qualche goccia di pioggia sta bagnando la terra. Qualche goccia di pioggia mi ricorda che l'estate sa di non poter essere perfetta. Recupero lo stendino in terrazzo, fortunatamente la pioggia non ha toccato ancora la biancheria e, siccome è asciutta, decido di raccogliere tutto.
Non è quasi mai capitato nei momenti importanti, ma nelle esperienze (e la raccolta dei panni è una di queste) che reputo le meno significative e più deprimenti della mia esistenza sono quasi sempre drammaticamente solo.

Le cose non riescono a trattenere i colori. Dentro questa foto gli oggetti sono solo macchie incerte dai colori differenti... Uno dei ricordi più forti che conservo del mio nonno paterno è il contrasto tra quella che - non faccio nessuna fatica a immaginare - era stata un'esistenza difficile, dettata dalla privazioni della guerra e dalle esigenze basilari di una famiglia più o meno numerosa, e la tremenda infinita dolcezza del suo viso ormai ineluttabilmente invecchiato. Una pesante contraddizione tra il risultato della severità degli anni migliori e le infinite dolcissime lacrime che versava ogni volta che io o mia sorella andavamo ad abbracciarlo.
Credo che esista un filo genetico e psichico che lega le generazioni maschili della mia famiglia. Ci sono emozioni perfette che non imparerò mai a gestire nella maniera più razionale, e non possono non rimanere estasiato di fronte alle infinite varietà di colori che si imprimono, con una forza e un vigore sbalorditivo, sulle pagine dei fogli delle mie esperienze.

Ci sono uomini che piangono spesso e altri che non verseranno mai lacrime. Io appartengo alla prima categoria.

martedì 6 luglio 2010

Aderenze

Domenica è un giorno strano per iniziare un viaggio di lavoro. Il parcheggio multipiano è praticamente libero e la prima vera stranezza è riuscire a parcheggiare a pochi metri dal terminal. La seconda sono le persone che frequentano l'aeroporto, i gruppi di vacanzieri che tornano da qualche villaggio esotico (o presunto tale), il loro colorito inusuale, i bagagli stracolmi caricati sui carrelli (dai quali pendono gadget e cappelli la cui forma, il buon gusto che mi porto dentro, mi impedisce di ricordare), e la quasi totale assenza di gente vestita come me: abito blu e camicia (senza cravatta) malgrado i 40 gradi all'ombra che Roma regala ai propri calpestatori durante questo periodo dell'anno.

Il volo atterra alle 22 e ovviamente arrivo a destinazione con una buona dose di ritardo. Catania mi accoglie silenziosa ma vivamente disordinata. Manco da questa città da febbraio e faccio fatica a ricordare l'ultima volta che ho percorso quelle strade, c'è un traffico muto e forzatamente rassegnato. "E' gente che torna dal mare", mi spiega l'autista. Rinuncio a fargli domande o a simulare interesse per l'andamento disordinato degli altri veicoli, perchè capisco subito che è uno che ha la logorrea latente e io non ho nessuna voglia di parlare a vuoto. Tiene una media di 30km/h, fa strade assurde e alla fine mi ruba 50 euro. Per quanto la disprezzi, l'italica forma di fregare/non fregare il prossimo ha un fascino meschino che non posso fare a meno di ammirare.

In hotel, come al solito, sono accolto calorosamente. La cucina è chiusa ma, da ospite abituale quale sono stato, mi propongono qualsiasi cosa io abbia voglia di mangiare. Rinuncio a costringere il cuoco allo straordinario e ordino un piatto freddo e un bicchiere di vino bianco. Lascio colmo il cestino di pane, separo, da provetto chirurgo, la parte grassa del prosciutto da quella magra e la avvolgo nel melone. Non sono un goloso, il cibo non mi ha mai dato soddisfazioni, ho lo stomaco completamente chiuso ma riesco ugualmente a trovare conforto in quello che ingurgito. Sorseggio il vino e racconto ad un'eccitata Kema gli ultimi 3 mesi della mia vita. L'entusiasmo che ho nel raccontarmi e il modo con cui ripercorro le emozioni e i ricordi stemperano l'angoscia delle ultime ore.Pensavo, a 30 anni, di avere imparato a gestire, almeno da un punto di vista teorico, un'ampia varietà di turbamenti possibili e dover riconoscere a me stesso di non avere la minima capacità di gestire i distacchi non è che l'ennesima meravigliosa novità emotiva di questi ultimi tempi. Sarebbe un errore considerare queste mutate capacità di osservazione come una rivoluzione in senso stretto, perchè in fondo sono figlio di quello che sono stato e delle esperienze che ho vissuto, ma ho una protesi emozionale fiammante e straordinariamente efficace e tutto il vecchio e scontato mondo che ricordavo, visto con questi nuovi occhi, sublima ogni giorno affascinanti paradigmi meta-sensazionali.

Aderenze è il nome che ho dato al nostro personalissimo modo di vivere le quotidiane complicità. Di tutto il resto, futuro compreso, mi faccio beffe, perchè un presente così non era prevedibile nemmeno nelle favole a più lieto fine. Inevitabilmente e indipendentemente dal resto, tutto questo sarà sempre poesia. Pura sublime poesia.

Essere padroni di se stessi calma questo tempo dei gesti, essere padroni di se stessi celebra i ritorni ma non sazia...
I ritorni, Amor Fou

lunedì 3 maggio 2010

Primavere contrastanti

Ci voleva una primavera vaga e approssimativa a farmi capire che i 27 gradini che conducono alla felicità sono una costruzione mentale superabile e - ora posso ammetterlo senza beneficio d'inventario - scarsamente convincente. Ho ignorato il fastidio del clacson della macchina che proprio non voleva farmi passare, ho comprato un quaderno da scuola elementare, perchè volevo raccontare la vita sfruttando le lunghe righe alternate, mi sono sdraiato sull'asfalto ancora parzialmente compromesso dall'acqua della pioggia, ho chiuso lentamente gli occhi e ho trasformato le righe in quadretti, i pensieri in immagini, le divisioni con la virgola che ancora non so a fare in musica da quattro soldi ed emotività allo stato puro.
Ancora mi chiedo come il trascorrere del tempo e i miei non accettati trent'anni possano non avere lasciato strumenti in grado di decifrare il contenuto latente del senso perfetto delle suggestioni.

Se fossi libero dal paradosso intimo del turbamento sarei forse immune da tutte quelle manifestazioni passionali che da millenni scuotono cuore e cervello degli uomini. L'estetica contemplativa, nel bene o nel male, cede graziosamente e gradevolmente il passo al dinamismo istintivo dell'inadeguatezza costante.

Ancora una volta sono tornato ad essere vivo. Come non mai.