mercoledì 15 ottobre 2008

Abbandonando dimenticarsi

Scivola nella più totale inutilità questo ottobre malinconico, tra un umore mai stato così altalenante, difetti approssimativi e fermi immagine sfocati. L'avevo previsto, è vero, ma non pensavo che le cose esterne prendessero pieghe così strane da farmi dubitare delle mie più ortodosse ragioni. Eppure è così e io fatico ancora, malgrado sia ormai prossimo ai TRENTA, a farmene una ragione definitiva: non finisco di stupirmi di quanto possano essere mediocri alcuni contesti dai quali, molto probabilmente, farei solo bene a fuggire. Ma sono umano. Troppo umano.

Non tutto, però, può definirsi da buttar via. Ho conosciuto due persone straordinarie, uno è Albert, drammaticamente pittore e artista (reale e non presunto tale), con una capacità e un talento davvero fuori dal comune, l'altro è Gio, voce, anzi, più correttamente, interprete di un gruppo promettente e straordinariamente evocativo, i Malameccanica. A Gio, in ordine di importanza, devo un pezzo e un racconto. Nel "Castigo delle ossa" Gio mi dedica una strofa: "E forse Fabrizio potremmo anche dirci fratelli benché siamo nati da genitori diversi/ ma tu te la ricordi Per Elisa?/ No tu l'hai mai sentita Per Elisa?/ Rammenta t'ho detto da che parte s'inizia a morire / e deve esserti suonato come un cigno che si rovescia/ o come un bruco che si mozza da solo/ Ma dura il tempo di un ciak questo essere presi da dietro, le mani sugli occhi/ e ti chiedono pure di indovinare chi è..." Sono fiero e lusingato per questo piccolo tributo. L'unico mezzo che avevo a disposizione era provare a raccontare le emozioni che i loro pezzi mi avevano lasciato. C'ho provato, ho scritto una recensione, e Chiara dice che il risultato è eccellente. Trovo giusto fidarmi di lei.
La seconda cosa che devo a Gio sono interminabili chiacchierate notturne e un piccolo aneddoto. Poco fuori Arezzo, sua amata/odiata città ("Arezzo è un porco e mi deve una vita"), qualche tempo fa il comune ha deciso di bonificare un'area e l'ha fatto prosciugando un piccolo lago. Gran parte della popolazione aretina, incuriosita da quello che poteva essere uno spettacolo insolito, si è recata al lago a vedere cosa mai avesse potuto custodire l'acqua. Gio, quella mattina, non è andato al lago perchè sapeva già, o quantomeno immaginava, cosa sarebbe emerso dal fondale. Qualche pesce morto e due lavatrici: nulla di più hanno regalato quelle acque. Ne era talmente certo e consapevole che ha deciso di "non partecipare", di astenersi, di evitare uno spettacolo il cui finale mediocre era già stato opportunamente ponderato e minimizzato. La storiella è semplice ma ha all'interno una morale la cui applicazione è quanto di più complesso si possa pensare. Il raggiungimento della perfetta consapevolezza dei propri limiti, delle proprie ragionevoli aspettative e dei risultati potenziali (o non potenziali) è una delle chiavi interpretative più efficaci per riuscire ad abbandonare agevolmente la trappola della depressione da obiettivi mancati. Allo stesso modo con cui bisogna essere auto-efficaci nel saper valutare le potenzialità (c'ho addirittura fatto un corso in azienda) bisognerebbe saper essere efficaci nel ricondurre in un ottica di assoluta interna consapevolezza qualsiasi sfida mancata, senza per questo, ovviamente, compromettere nessuna delle funzioni creative/propositive. D'altra parte, e in questo Gio è sempre categorico, non può deluderti una situazione che già sapevi, inconsapevolmente o potenzialmente, essere compromessa da contestualità cogenti.
Con tutte le difficoltà del caso da un paio di giorni sto cercando di applicare questo ragionamento. Devo ancora perfezionarlo ma credo di essere sulla buona strada.

Il percorso che mi porterà ad abitare in una casa fantastica è ormai arrivato alle battute conclusive. Gli ultimi passaggi sono stati i più complessi. Quando, a fine luglio, sono stato costretto a formattare quanto (a dire il vero poco) si era pensato, ho creduto che non avrei trovato più lo stimolo giusto per trasformare quelle 4 mura nella mia futura e splendida dimora. Per fortuna, alla fine del temporale emotivo settembrino, ha fatto capolino un sole pallido ma capace di dare nuovi slanci e una marea di nuove idee. Albert, che si definisce "uno che non ha buon gusto ma GUSTO" (la frase è talmente subdola che bisogna essere opportunamente intelligenti per capirla), in maniera del tutto involontaria, ha saputo risvegliare la mia parte che tende al bello, all'estetismo estremo (fanculo lo stile ma fino ad un certo punto). Ho concepito un bagno straordinario e un arredamento raffinato ed elegante, minimal, bianco, nero e con qualche sfumatura di viola acido. Ho scelto una ditta, ho fissato termini, condizioni e tracciato percorsi temporali. Il 10 novembre iniziano ufficialmente i lavori. E' molto probabile che, a causa di alcune consegne sfalsate, non potrò occupare casa prima dell'inizio dell'anno ma sono felice di essere quasi arrivato sano e salvo (e senza soldi) alla fine della corsa. Ci sono quasi.

"Uscire fuori, da un lungo isolamento
e sentire la pressione fra la terra e il cielo
e poi guardarsi intorno, come per la prima volta
e scoprire che non c'è nessun motivo per vedersi da lontano
parlare con un altro sconosciuto,
proiettare nei suoi occhi le risposte
e trovare le risposte che non hai
e ridere di gioia e di malinconia
e poi andare via.
Soli.
In un'atra direzione,
legati ancora per un tratto da una scia di commozione.
Andare via. Da sempre.
E chi sa se sarà vero che ritornerai. Se ritornerai..."

Uscire fuori, Riccardo Sinigallia.